La libertà è un’illusione benefica che guida le nostre azioni. Non esiste una libertà assoluta perché la stessa esistenza comporta regole a cui non ci si può sottrarre: respirare, mangiare, morire.
All’Uomo non resta altro che conquistarsi degli spazi di libertà oppure dare senso alla propria privazione di libertà, attraverso la religione e la filosofia. La confessione cattolica, per esempio, giustifica l’assoggettazione dolorosa dell’Uomo a Dio con il concetto di “peccato originale”, a causa del quale tutti saremmo condannati ad un’esistenza faticosa nella quale ricercare la redenzione.
In generale, per le religioni la libertà è principalmente la possibilità di scegliere tra bene e male. Più interessante, invece, la libertà intesa come possibilità di conoscere per poi decidere consapevolmente. Il primo obiettivo da perseguire per essere liberi, infatti, è la comprensione dei limiti entro i quali si distendono degli spazi di libertà nella propria dimensione interiore, sociale e materiale.
Si arriva a conquistare dei territori di libertà, e persino ad allargare il margine di certi limiti, attraverso la conoscenza, la tecnica e la mobilitazione sociale. Certe libertà diventano con il tempo scontate e si dimentica che sono state acquisite grazie a pressioni politiche e battaglie culturali. Di contro, l’assenza di certe libertà talmente diffusa e “normalizzata” da non essere percepita, pur essendo fortemente vincolante.
La libertà, infatti, così come anche la ricchezza e il benessere, sono condizioni che risentono della percezione soggettiva e dell’immaginario collettivo. Si può essere costretti, anche fisicamente, ma sentirsi liberi oppure identificarsi con modelli di libertà e dimenticarsi di non esserlo.
Generalmente la libertà percepita si riduce sostanzialmente a salute e disponibilità economica che permettono di acquistare beni e servizi, viaggiare, sfruttare a pieno il tempo libero. C’è scarsa attenzione verso la libertà di pensiero, di informazione, di espressione, di socializzazione, di partecipazione democratica.
Così percepita, la libertà è funzionale al sistema economico perché ne alimenta lo sviluppo (quantitativo). E’ lo stesso sistema sociale a promuovere la libertà come valore condivisibile, finendo poi per organizzare e suggerire gli ambiti entro i quali questa libertà si può e si deve manifestare. Lo dimostra il modo in cui è emerso il concetto di tempo libero, cioè fuori dall’impegno lavorativo o formativo, che di fatto è una dimensione da riempire, quasi infarcire, di azioni consumabili: andare al cinema, al teatro, al ristorante, fare sport, palestra, andare ad una mostra, fare shopping, una gita turistica, ecc. Il tempo libero è codificato ai fini del consumo e così non è più tale.
Persino i bambini sono privati della loro libertà di sperimentare, sbagliare, riprovare, immaginare. La loro agenda prevede pomeriggi di sport, corsi di musica, catechismo, ecc. I loro giochi sono programmati con obiettivi formativi e ludici. Stretti in questi percorsi precostituiti e standardizzati, i bambini crescono come adolescenti stanchi e annoiati, pieni di energie inespresse, poco curiosi e poco critici, fisicamente e intellettualmente inesperti.
Questi adolescenti sono pronti, così, ad affrontare la propria naturale ribellione generazionale con tutte le incertezze e carenze che li rendono perfetti candidati alla realizzazione personale e alla costruzione della propria identità per mezzo del consumo.
L’adolescenza è, in realtà, la condizione psicologica e umana più favorevole al consumo tanto che i media e la pubblicità si rivolgono ai consumatori come se fossero eterni adolescenti. In uno spot televisivo un padre trentenne è talmente sedotto dalla propria auto nuova da dimenticarsi il nome del figlio; un’anziana nonnina balla con i suoi amici scatenati in una festa in casa, solo per poter mettere alla prova, poi, il suo prodotto antipolvere prima che torni la figlia.
La pubblicità stimola e fa appello alle pulsioni adolescenziali di frivolezza, irresponsabilità, trasgressione e divertimento perché il consumatore, per essere tale, deve rivivere costantemente il proprio smarrimento identitario.
Non c’è libertà senza assunzione di responsabilità.
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